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16 Luglio 2020

La vita sospesa e l’ultima occasione

Per Elisa Di Francisca le Olimpiadi giapponesi sarebbero state una degna chiusura di carriera. Adesso, a 37 anni, la campionessa di scherma aspetta di sapere se le gare cancellate per l’epidemia saranno recuperate nel 2021. E racconta del periodo lontano dalla pedana, dei progetti rimandati, dell’incertezza
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Tempo perduto o tempo guadagnato? Ogni rinvio può contenere un problema o un’occasione, dipende dai punti di vista, dall’età che abbiamo, dai progetti e da come reagisce la nostra testa. Il rinvio dei Giochi olimpici, che si sarebbero dovuti inaugurare venerdì prossimo a Tokyo, ha terremotato le vite degli atleti di tutto il mondo, che da mesi vivono nell’attesa di sapere quale sarà il destino dell’evento a cui si preparavano da quattro anni, o forse da sempre. Elisa Di Francisca ha 37 anni, la sua prima gara di scherma l’ha vinta 25 anni fa, le Olimpiadi giapponesi per lei erano il punto di arrivo di una vita, la conclusione di una carriera che l’ha già vista salire su quel podio tre volte: due ori a Londra 2012 e un argento a Rio 2016. «Chi è più giovane e ha ancora tempo davanti può permettersi di aspettare ma per me la situazione è diversa, Tokyo è davvero l’ultima occasione, se ci sarà».

Elisa Di Francisca, campionessa di scherma, 37 anni (foto di Augusto Bizzi)

Nei mesi della quarantena troppe domande affollavano la sua testa: sarò ancora competitiva se passa un altro anno? Sarà tardi? E quel bambino che voglio così tanto, una sorellina o un fratellino per Ettore? «Adesso ho smesso di pensare. Sinceramente non so cosa fare e così ho sospeso il giudizio e non salgo più in pedana. Aspetto che decidano, il Comitato olimpico lo dovrebbe fare a ottobre, per poi rimettermi in moto. Noi del fioretto siamo già qualificate ma tenere la concentrazione senza avere un obiettivo è impossibile e fa anche male. Meglio avere la testa sgombra, così me ne vado in vacanza. Vado al mare, un po’ a Ischia, l’isola amata da mio marito, dove ci siamo sposati, e poi in Sicilia, l’isola di mio padre».

Non riesco a immaginare come un’atleta professionista possa riuscire a vivere senza allenarsi, possa cambiare le sue priorità e le prospettive ma lei mi risponde con la realtà che tutti abbiamo vissuto: «Nessuno poteva nemmeno immaginare la quarantena: ho pulito, cucinato in continuazione, come una catena di montaggio, e mi sono allenata in luoghi impensabili come le scale del palazzo o in cortile, dove avanzavo, indietreggiavo, facevo assalti immaginari. Non ero mai stata così tanto in casa in vita mia e francamente non me ne ero mai occupata, invece ho scoperto quanto sia bello prendersi cura delle cose e delle persone. Come tutti ho fatto ordine nei cassetti e negli armadi».

Ma in questa sospensione non si perdono capacità, tecnica e forma? «La scherma è sempre lì dove l’ho lasciata e so che la ritroverò anche a ottant’anni. Le cose le so, non me le dimentico, sono quelle che il mio maestro mi insegnò quando ero bambina, sono scritte dentro di me». Elisa non sale su una pedana dal 20 febbraio, dal giorno prima che il Covid fosse riconosciuto a Codogno diventando un problema italiano ed europeo, dall’ultima gara vinta a Kazan, in Russia. «Da quel giorno non ho tirato più, con la fine della quarantena ho ricominciato a fare lezione con il maestro, a indossare la maschera e il guanto ma non ho più tirato, non ne sento l’esigenza. Quando conosceremo il destino delle Olimpiadi allora torneranno pedana e assalti e l’esercizio duro più fisico, ma non è ancora tempo».

Di Francisca durante un allenamento nella palestra di Jesi, la sua città natale

Elisa ha convinzioni solide e un temperamento ribelle, è arrivata alle sue prime Olimpiadi a Londra che aveva quasi trent’anni: «Ero pazzerella e non avevo la testa per le Olimpiadi a 25 anni, non volevo sacrificare gli amici e le uscite e poi davanti a me c’erano atlete come Vezzali, Trillini e Granbassi. Ai Giochi di Pechino del 2008 mi proposero di andare a fare la sparring partner per allenare le titolari della scherma, dovevo stare dietro le quinte ma avrei potuto vivere l’atmosfera. Risposi di no e pensai che ci volevo andare per salire sulla pedana, per gareggiare e così è stato. Quanto all’atmosfera, per quella c’è tempo, ci andrò con mio figlio e ce la godremo da spettatori».

Che cos’è un’Olimpiade per un’atleta? «I primi Giochi per me sono stati un’esperienza bellissima, al di là dei due ori, ho mille ricordi in testa: l’approccio con il villaggio olimpico, la cerimonia di apertura, anche se l’ho vista solo in televisione perché avevo la gara il giorno dopo, la metropolitana di Londra, città in cui non ero mai stata, il clima di festa. Ma la cosa più bella è quando ci hanno consegnato a Roma il trolley con le tute, i vestiti, l’abito da cerimonia: ero commossa. Quel trolley è tutto rotto, è pieno di nastro adesivo e di cerotti, ma io continuo ad usarlo in giro per il mondo perché rappresenta la scatola dei sogni».

Elisa resta in silenzio, sta ripensando a quando si è aperta quella porta che si sarebbe dovuta chiudere quest’estate: «L’Olimpiade è il sogno di ogni sportivo, il momento cruciale della vita di un atleta, che va colto e vissuto fino in fondo anche se va male, ma con la tranquillità di aver dato il massimo». Dice di non sapere ancora cosa farà ma si capisce che ci tiene da morire a rivivere quell’esperienza: «Certo che ci spero, ma non solo per me: se si faranno i Giochi di Tokyo sarà come la luce in fondo al tunnel, un riscatto, il lieto fine di una storia terribile che ha sconvolto il mondo».

Di Francisca con il figlio Ettore, tre anni, in uno scatto postato sul suo profilo Instagram

La vittoria che le è più cara però non è olimpica e nemmeno mondiale, è quella della prima gara che ha fatto: aveva 12 anni, campionato italiano giovanissimi a Rimini, a guardarla c’erano Ezio Triccoli, il suo maestro che aveva quasi ottant’anni, e sua madre. «Ricordo la fatica, ho una foto di quella giornata in cui si legge tutta la stanchezza della prima volta: la faccia bianca, le occhiaie. Quel ricordo vale di più di un oro olimpico perché mi ha fatto capire che potevo farcela, che avevo un futuro».

Mentre parliamo si sente Ettore, tre anni, che reclama la mamma. Non è previsto che resti figlio unico: «Dopo le Olimpiadi ci saremmo messi subito al lavoro, invece si rimanda tutto e questo mi dispiace». Le chiedo il perché di quel nome antico: «Adoro la mitologia, la prossima se sarà femmina si chiamerà Elena». E se fosse un maschio, Achille? «Direi proprio di no, mi sembra rischioso: con Ettore già in casa eviterei…». Una voce la chiama, questa volta è Ivan, il marito: «Chiudo con te la telefonata e stappiamo una bottiglia, tutto è rinviato e allora è tempo di vivere».

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