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3 Giugno 2021

Maria Silvia, la prima

Maria Silvia Spolato è stata la prima donna a dichiarare “in piazza” la propria omosessualità. Una scelta, fatta nel 1972, che pagò a carissimo prezzo. Sara Poma racconta la sua vita in un podcast importante per capire la fatica dei diritti
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Immergersi nelle vite degli altri per capire, vedere il mondo attraverso i loro occhi, sentire. Oggi vi parlo di un podcast che non è mio, ma è un gioiello di narrazione, storia e sensibilità. Parla della vita di Maria Silvia Spolato, la prima donna a dichiararsi lesbica in piazza – lo fece a Roma, in Campo dei Fiori, nel 1972 – e delle conseguenze di quel gesto. A raccontare è Sara Poma, già autrice di una serie strepitosa sulla vita di sua nonna (dal titolo “Carla”), sui sogni, la fatica e le speranze di una ragazza del Novecento. Ora Sara, anche lei gay ma nata nel 1976, indaga e confronta i percorsi di vita suo e di Maria Silvia e ci racconta che prezzo aveva dichiarare la propria omosessualità mezzo secolo fa.

Il nuovo podcast di Sara Poma (potete ascoltarlo qui)

«Quando ho finito di fare Carla, il podcast tratto dal diario di mia nonna, ho avuto un senso di svuotamento, mi mancava tantissimo quell’esperienza totalizzante di immedesimarmi nella vita di qualcuno, conoscerla e raccontarla. Ma questa volta – mi racconta Sara – volevo anche rispondere a una domanda: com’era la vita di una persona gay cresciuta nel Dopoguerra?».
Sara è andata all’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano sperando di trovare una risposta a quella domanda, l’ha trovata in un diario, ma chi lo aveva donato aveva chiesto di non renderlo mai pubblico. Allora si è messa a cercare in rete finché non ha incontrato il viso ormai anziano di Maria Silvia Spolato, era accanto a un articolo uscito sull’Alto Adige, in cui si raccontava che, in una casa di riposo di Bolzano, era morta la prima donna ad aver dichiarato pubblicamente la sua omosessualità.

«Insieme a Ilaria Orrù, con cui avevo già scritto Carla, ho cominciato a esplorare e ho subito capito che molte delle cose che si trovavano su di lei online erano sbagliate o approssimative. Così siamo ripartite da zero, mi hanno molto aiutata alcuni ricercatori e storici di Padova, la città dove Maria Silvia è nata nel 1935, che stanno studiando la sua vita come simbolo di discriminazione».
Sì, perché quella donna pagò a carissimo prezzo il suo gesto di libertà: professoressa di matematica in una scuola media pubblica venne allontanata dal Ministero perché considerata non più idonea e “indegna all’insegnamento”. 

Il libretto universitario di Maria Silvia Spolato (Su concessione dell’Università degli Studi di Padova – Ufficio Gestione documentale)

«Abbiamo fatto un lavoro certosino e paziente per rintracciare le persone che erano state in contatto con lei, sia quando era stata una militante negli Anni Settanta, sia nell’ultima parte della sua vita a Bolzano, dove passò molto tempo senza fissa dimora. Abbiamo trovato Angelo Pezzana, fondatore del FUORI! (la prima associazione del movimento di liberazione omosessuale), le amiche femministe con cui scendeva in piazza, Dacia Maraini che curò l’introduzione di un libro che Maria Silvia aveva scritto, fino alle persone che si prendevano cura di lei nella casa di riposo. La cosa più interessante di questo lavoro è che, pian piano che si ricomponevano i pezzi, la figura che emergeva era complessa: non solo l’insegnate militante che scende in piazza e perde il posto, ma un mondo intero».

Il rischio di queste ricerche è scoprire cose che non si immaginavano, aspetti oscuri, di restare delusi alla fine del viaggio: «Invece quello che ho trovato è il ritratto di una persona certamente sopra le righe, coraggiosa fino all’autolesionismo, ma molto aperta verso il prossimo e soprattutto tenuta in piedi, anche nei momenti in cui viveva per strada, da un amore incredibile per la cultura e i libri. L’infermiera della casa di riposo mi ha raccontato che aveva sistemato un vecchio videoregistratore, si era fatta la tessera di un video-noleggio e guardava un vecchio film ogni sera, film d’autore degli Anni Sessanta e Settanta. Che peccato che sia morta completamente dimenticata».

Sara Poma durante le registrazioni del podcast

Chiedo a Sara di provare a immaginare se Maria Silvia sarebbe stata contenta che una perfetta sconosciuta raccontasse la sua vita: «Rimarrà una domanda senza risposta, magari voleva solo essere dimenticata. Ma la sua vita è utile per capire molte cose e spero che questa serie la ascoltino le persone eterosessuali e possano capire come era la vita per le persone omosessuali nell’Italia del Novecento e anche le persone molto giovani, la comunità LGBTQ+ che è nata dopo e forse non immagina come potesse essere difficile a tutti i livelli allora». 

Il matrimonio di Sara e Lucrezia

Uno dei momenti più potenti della serie è l’intervista con tre donne del circolo Pompeo Magno, uno dei primi gruppi femministi romani, tre amiche di Maria Silvia, lesbiche come lei, oggi ottantenni: «Mi hanno raccontato le loro storie: una era attrice di film con Totò e Alberto Sordi, il femminismo le ha salvato la vita, la seconda è scappata ad Amsterdam senza una lira, appena diciottenne, per non sposarsi con un uomo e la terza invece si è dovuta sposare. Attraverso di loro ho capito il bivio tragico in cui ci si trovava allora: rivendicare la propria identità o soffocarla e ricoprire il ruolo che la società chiedeva. Quante storie sommerse di sofferenza, loro hanno avuto il coraggio di lottare per quello che erano e sentivano, ed è anche grazie a loro se io mi sono sposata due anni fa il primo giugno».

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