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11 Giugno 2020

Tutte le strade della bicicletta

Il distanziamento fisico imposto dall’epidemia ci costringe a ripensare la mobilità urbana. Le due ruote saranno la risposta, la soluzione per riappropriarci dello spazio pubblico e delle città invase dal traffico. E sarà più facile di quanto crediamo. Parola di architetto
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«Quando si dice che abbiamo un problema culturale è come se dicessimo che è una questione insormontabile, in realtà la nostra cultura del vivere insieme si è modificata molte volte: si fumava nei cinema, nei ristoranti, negli uffici, perfino sugli aerei, si andava in moto senza casco, non si usava la cintura e la raccolta differenziata sembrava impensabile, poi tutto è cambiato». Ho pedalato per tre giorni da Torino a Nembro, il paese della bergamasca più colpito dal Covid-19, e ho passato ore lungo il Po, il canale Cavour e i navigli a discutere con Valerio Montieri, 58 anni ieri, architetto, pioniere nella progettazione delle piste ciclabili e nella riqualificazione delle aree degradate. Alle mie perplessità sulla possibilità che cambi davvero la nostra mobilità e la dipendenza totale dalle auto lui ha risposto ricordandomi tutti i tabù che sono stati infranti: «Gli italiani, se gli proponi cose ragionevoli e chiare, si convincono, si abituano e alla fine lo fanno anche volentieri. Per questo sono convinto che siamo pronti per cambiare modo di muoverci soprattutto all’interno delle città. Anzi, il comportamento dei cittadini è già più avanti delle proposte che le amministrazioni stanno mettendo in campo».

Livorno Ferraris (Vercelli), 8 giugno 2020. Mario Calabresi e i suoi compagni del viaggio in bicicletta da Torino a Nembro fanno tappa alla Tenuta Colombara

Cambiare modo di muoversi significa soprattutto incentivare l’uso delle biciclette, come accade nel resto d’Europa, non solo nei Paesi del Nord: «Senza citare, come si fa sempre, Amsterdam e Copenaghen è meglio guardare all’evoluzione di Parigi, Siviglia o Madrid, che hanno una cultura più simile alla nostra. Il punto di partenza, ovunque, è la moderazione del traffico: abbassare la velocità delle auto nelle zone residenziali o creare una pista ciclabile separata nelle strade a scorrimento veloce». Perché le due ruote diventino un’alternativa reale è fondamentale creare condizioni di sicurezza: «In Italia – sottolinea Valerio – ogni anno le auto uccidono in media 250 ciclisti e più di 600 pedoni (uno ogni 14 ore), velocità e distrazione da smartphone le cause principali. Non capisco però perché facciano così poco notizia: nel nostro Paese ci sono 350 omicidi ogni anno e ognuno di loro occupa giustamente le pagine dei nostri giornali, i 600 pedoni invece sono relegati nelle brevi».

Perché è cruciale diminuire la velocità delle auto? «Essere investiti a 50 km/l’ora è come cadere dal quarto piano, essere investiti a 30 all’ora è come cadere dal primo piano, è la differenza tra morire e rimanere feriti. Se un ciclista fa un errore o un’imprudenza mette a rischio sé stesso, se lo fa l’automobilista in città mette a rischio soprattutto gli altri».

Milano, 10 giugno 2020. Valerio Montieri, 58 anni, architetto: qui alla partenza davanti all’Arco della Pace per l’ultima tappa del viaggio verso Nembro (foto di Carlo Colombo per Altre/Storie)

Ma da dove bisogna partire e quanto lavoro richiede trasformare una città e renderla “amica delle bici”? «La prima regola per essere credibili è che la bicicletta deve potersi muovere in città dappertutto in sicurezza, non si possono fare solo dei pezzi di percorso e pretendere che la gente li usi, ci vuole una rete continua e ben segnalata che porti dalla periferia ai punti cruciali del centro e della città: Comune, piazze principali, scuole, ospedali, università». Mentre me lo spiega immagino marciapiedi spaccati, cantieri infiniti e cittadini inferociti, invece Valerio mi stupisce: «Non c’è bisogno di fare grandi lavori, basta tracciare delle strisce per terra. Per dare un segnale concreto è urgente realizzare una rete al più presto disponibile e le modifiche al Codice della strada contenute nel “Decreto Rilancio” hanno introdotto la corsia ciclabile – la bike line come a Berlino, Monaco e Londra – che disegna una parte della carreggiata dove preferibilmente passano le biciclette ma all’evenienza anche le auto. Se c’è un ciclista, questo ha la precedenza e l’auto deve stare fuori da quello spazio, ma se è vuota può essere usata dalle macchine. Tutto questo è possibile con la moderazione della velocità».

Dall’alto, Monaco di Baviera e Londra. Due esempi di corsie ciclabili, le strisce che dividono la carreggiata per delimitare la parte dove le bici hanno la precedenza

A Milano il sindaco Beppe Sala e il suo assessore alla Mobilità, Marco Granelli, stanno sfruttando questo tempo post-epidemia per provare a riequilibrare lo spazio urbano, che fino ad ora era dedicato principalmente alle auto, dando spazio alle persone, intese come pedoni, ciclisti ma anche fruitori di ristoranti, bar e locali che fino al 30 ottobre possono occupare le parti esterne, dai marciapiedi ai parcheggi. «Il motore del distanziamento fisico sta facendo ripensare il nostro spazio pubblico, oggi fatto all’80 per cento di strade. Lo spazio pubblico nasce storicamente come incontro tra le persone, non tra le automobili, una caratteristica storica dell’Italia e dell’Europa che vale la pena recuperare».

Le polemiche però non mancano, basti pensare al dibattito sulla ciclabile milanese di corso Buenos Aires, che il mio compagno di viaggio però difende a spada tratta: «È un progetto ben fatto e corretto, con innovazioni fondamentali come la casa avanzata, lo spazio dedicato alle bici ad ogni semaforo. Il classico incidente si ha quando le auto al semaforo girano a destra e investono il ciclista che invece vuole andare dritto. Consentire ai ciclisti di mettersi davanti o a sinistra, per girare, diminuisce in maniera consistente i rischi».

Milano. Una casa avanzata, lo spazio dedicato alle bici davanti alla linea di stop per le automobili ai semafori

Il primo lavoro a cui ha collaborato Valerio, subito dopo la laurea in Architettura al Politecnico, è stata la progettazione della rete delle piste ciclabili del parco delle Groane, alle porte di Milano. Da allora si dedica alle reti ciclabili, sia in aree protette come parchi e riserve naturali in Lombardia, sia in ambito urbano. «La cosa che mi affascina di più è recuperare vecchie strade storiche, usando materiali naturali – legno, pietra, talee, per evitare il cemento – o dare nuova vita agli antichi tracciati ferroviari. Tra i più belli ci sono quelli della Bergamasca, in Val Seriana e Brembana, e la ciclabile della Riviera dei Fiori tra Ospedaletti e Diano Marina, percorso meraviglioso tra gallerie e mare che funziona benissimo anche fuori stagione».

Mi ha raccontato poi una serie di progetti a Malpensa e Firenze per arrivare in bici negli aeroporti, a me sembra un po’ estremo, invece mi ha spiegato che sono un ottimo biglietto da visita turistico («Non immagini quanti stranieri volino con la propria bici per fare poi cicloturismo») e che servono per i lavoratori dell’aeroporto «che di solito vivono in un raggio di quattro-sei chilometri». Scopro che a Dublino c’è addirittura una ciclabile che dalla città arriva dentro il terminal. Un mondo nuovo che forse sta arrivando anche da noi.

P.s. Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento può scaricare qui un manuale per le pubbliche amministrazioni per interventi immediati e urgenti di facilitazione della ciclabilità e della pedonalità. Coordinato da Bikenomics, una società che si occupa della promozione della ciclabilità con la testata “Bikeitalia”, è stato scritto da una serie di esperti tra cui proprio Montieri.

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